di Ilaria Romeo
responsabile Archivio storico CGIL nazionale

 

Il 24 gennaio 1979 le Brigate Rosse uccidono a Genova Guido Rossa, iscritto al Pci e delegato sindacale della Fiom, membro del Consiglio di fabbrica dell’Italsider dal 1970.

“Un gigante – lo ha definito qualche anno fa il Segretario generale della CGIL Susanna Camusso – che non ha esitato a denunciare pubblicamente il terrorismo e le sue infiltrazioni nelle fabbriche in un momento straordinariamente difficile per la storia del Paese, quando cioè il fenomeno terrorista era invasivo e pervasivo. Un uomo, un padre, un eroe civile che con il suo sacrificio ha segnato una svolta decisiva nella battaglia contro il terrorismo”.

Operaio di origine veneta, Rossa fu trucidato per aver denunciato Francesco Berardi, un brigatista infiltrato in fabbrica.

 

 

“Verso le 8.30 odierne – dichiara Rossa il 25 ottobre 1978[1] – mi trovavo presso l’officina centrale del suddetto centro siderurgico [ndr Italsider di Genova]. Alcuni operai di questo reparto mi hanno portato un opuscolo delle Brigate rosse e mi hanno detto di averlo trovato nella cabina della macchina del caffè. Ho preso l’opuscolo e mi sono recato presso l’ufficio del Consiglio di fabbrica. Durante il tragitto mi sono fermato presso le macchine del caffè del reparto C.M.C. allo scopo di accertare se anche in questi luoghi vi fossero degli opuscoli del tipo di cui sopra. In tutti e tre i suddetti posti ho visto l’impiegato Berardi Francesco […] D’accordo con i miei compagni abbiamo deciso di portare l’opuscolo ai servizi di vigilanza dello stabilimento. Sceso al piano inferiore del Consiglio di fabbrica ho visto il Berardi Francesco che presentava un rigonfiamento sotto la camicia che indossava, con sopra la giacca, come se avesse un pacco di opuscoli più o meno della stessa misura di quello rinvenuto nell’officina. […] Appena il Berardi è uscito dal Cdf ho riferito al Contrino Diego, membro del Cdf, il sospetto che il Berardi nascondesse sotto la camicia degli opuscoli delle Br e l’ho invitato a seguirlo allo scopo di sorprenderlo mentre disponeva detti opuscoli in qualche zona dello stabilimento. Appena sono uscito assieme al Contrino dalla porta del Cdf, sul davanzale, abbiamo rinvenuto un opuscolo dello stesso tipo di quello descritto. Il Berardi, in quel momento, si trovava a circa 20 metri. […] Non ho altro da aggiungere”.

Al comando a pochi passi dall’Italsider, l’appuntato di turno scrive la denuncia e invita il gruppo di operai e delegati in attesa a firmare. Firma solo Guido Rossa.

Il 30 ottobre si apre il processo contro Berardi. Rossa, unico testimone, conferma la sua accusa durante il dibattimento, una denuncia che gli costerà di fatto la vita quel terribile 24 gennaio 1979.

È come se avessero colpito tutti noi titolerà «l’Unità» il giorno seguente: “Nessuno degli assassinii compiuti finora dai terroristi, per quanto in alto ne fossero le vittime, per quanto illustri o importanti o note apparissero, ci ha procurato un dolore profondo e se non stiamo attenti, disperante, come questo che ci viene dalla uccisione del compagno Rossa, il più grave, il più esecrando, il più crudele, il più lacerante delitto perpetrato fino ad oggi. Perché Guido Rossa era un operaio e un sindacalista. Egli apparteneva dunque alla classe di coloro ai quali ci sentiamo più vicini, perché in questa sua duplice qualità di operaio e di sindacalista rappresentava la democrazia, era la democrazia. Le altre vittime dei terroristi, profondamente rimpiante, costituivano della democrazia garanzia e presidio, difesa e sostegno, vigilanza e tutela, ma il compagno Rossa ne era l’essenza e la sostanza”.

Le istituzioni decidono per Guido Rossa i funerali di Stato che si svolgono in piazza De Ferrari il 27 gennaio.

Dirà quel giorno Sandro Pertini: “Non sono qui come presidente, sono qui come Sandro Pertini, vecchio partigiano e cittadino di questa Repubblica democratica e antifascista. Io le Brigate rosse le ho conosciute tanti anni fa, ma ho conosciuto quelle vere che combattevano i nazisti, non questi miserabili che sparano contro gli operai”.

“Nel corso della sua lotta per la difesa della democrazia e per la sua emancipazione, il movimento operaio ha conosciuto molti nemici – aggiungerà Luciano Lama a nome della Federazione unitaria – Ma questi sono fra i più vili perché operano come i fascisti e hanno lo stesso obiettivo dei fascisti anche se si coprono con una bandiera che non è la loro. Di fronte al compagno ucciso noi, Federazione unitaria, movimento sindacale, cittadini democratici, dobbiamo confermare in un giuramento solenne, il nostro impegno a combattere fino in fondo, con incrollabile fermezza, per la difesa della democrazia”.

Nel 1998 Bruno Trentin lo ricorderà così: “Lui era allora, anche se pochi lo sanno, uno dei più grandi arrampicatori italiani, un accademico del Club alpino […] Era riconosciuto da tutti, io ho parlato a lungo con i dirigenti della sua fabbrica, come qualcosa di più di un operaio altamente specializzato: era un tecnico pieno di capacità inventiva, uno scultore, un pittore […] ed un grande alpinista”.

La morte di Rossa – recitava nel 35° anniversario della morte una nota della CGIL – è stata uno spartiacque nella lotta contro il terrorismo. Il suo atto consapevole bruciò ogni possibile zona grigia, collusiva o compiacente, rendendo esplicita e trasparente la scelta di assumere il terrorismo come il nemico dei lavoratori, della classe operaia e della democrazia. Un atto lucido, chiaro e coerente, che portò ad una conseguenza cruciale e fondamentale nel Paese: individuare nel terrorismo il nemico e che questo andava combattuto senza alcuna ambiguità. Un gesto, quello di Guido Rossa, politico, da ricordare e tramandare come prezioso insegnamento, ovvero l’importanza decisiva dell’esercizio della responsabilità individuale nello svolgimento del proprio ruolo e delle proprie funzioni”.

 

Dal Blog La CGIL nel novecento: Guido Rossa un uomo una vita

 

____________________________________________
[1] Il verbale integrale è riportato in Giovanni Fasanella, Sabina Rossa, Guido Rossa, mio padre, Rizzoli 2006, pp. 67-70