Nel 2024 l’attività di vigilanza in materia di lavoro effettuata dagli Ispettori dell’INL e dai Carabinieri del Comando Tutela Lavoro ha riguardato 8.847 accessi ispettivi presso aziende classificate nell’ambito dell’ATECO “Agricoltura, silvicoltura e pesca”. Il risultato dei 6.023 accertamenti definiti ha permesso la contestazione di 4.118 illeciti. La percentuale di ispezioni in cui sono stati contestati illeciti rispetto al numero delle pratiche definite è stata perciò pari a circa il 68,4%.
Numerosità dei lavoratori irregolari e caratteristiche delle violazioni accertate
Nel 2023 sono stati complessivamente 7.884 i lavoratori irregolari accertati in occasione delle verifiche ispettive effettuate dagli Ispettori dell’INL e dai Carabinieri del Comando Tutela Lavoro. I lavoratori irregolari individuati in aziende dell’ATECO “Agricoltura, silvicoltura e pesca” rappresentano in particolare il 3,8% del complesso dei lavoratori irregolari accertati nel corso delle attività ispettive effettuate dagli Ispettori dell’INL e dai Carabinieri del Comando Tutela Lavoro in Italia.
Un approfondimento sulle caratteristiche dei lavoratori coinvolti nelle violazioni accertate permette di evidenziare che nel 2024 i lavoratori occupati “in nero” individuati nel corso delle attività di vigilanza presso aziende classificate nell’ambito dell’ATECO “Agricoltura, silvicoltura e pesca” sono stati 1.819, di cui 254 extracomunitari privi di regolare permesso di soggiorno. L’analisi dei dati riportati in tabella 1 permette di evidenziare come quasi un quarto (23,1%) del totale dei lavoratori irregolari accertati risulti impiegato in nero per la mancata applicazione dei contratti collettivi e/o per la violazione degli obblighi in materia previdenziale ed assicurativa. Nel periodo 2016-2024 si riduce, inoltre, l’incidenza dei lavoratori in nero sul totale dei lavoratori irregolari passando dal 72,5% del 2016 al 23,1% del 2024. L’esito degli accertamenti dell’INL e dei Carabinieri del Comando Tutela Lavoro evidenzia inoltre una riduzione dell’incidenza delle situazioni di irregolarità che riguardano i lavoratori extracomunitari privi di regolare permesso di soggiorno (dal 3,9% del 2016 al 3,2% del 2024).
Lavoratori irregolari: lavoratori in nero e lavoratori extra comunitari clandestini in aziende dell’ATECO “Agricoltura, silvicoltura e pesca”
Provvedimenti di sospensione della attività imprenditoriale
L’art. 14 del Decreto legislativo n. 81/2008 (Testo Unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) consente al personale ispettivo dell’Ispettorato nazionale del lavoro di sospendere l’attività imprenditoriale. Il personale dell’INL può fare ricorso a questo provvedimento nelle situazioni in cui viene accertato che oltre il 20% del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro non figura nella documentazione obbligatoria. Il provvedimento di sospensione può essere adottato anche nelle imprese in cui è accertata la presenza di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e sicurezza.
Nel 2024 secondo ISTAT la popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale[1] è pari al 23,1% (era 22,8% nel 2023), per un totale di circa 13 milioni e 525mila persone.
Nel 2023, invece, è stato stimato che il reddito netto delle famiglie residenti in Italia sia stato pari in media a 37.511 euro, circa 3.125 euro al mese. L’incremento dei redditi familiari in termini nominali (+4,2% rispetto al 2022) non è riuscita a tenere il passo della crescita dell’inflazione osservata nel corso del 2023 (+5,9% la variazione media annua dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo, IPCA), determinando un calo dei redditi delle famiglie in termini reali (-1,6%).
LAVORO A BASSO REDDITO E POVERTÀ LAVORATIVA
I redditi da lavoro rappresentano la fonte principale da cui provengono i redditi familiari per la maggior parte delle famiglie. Non sempre il reddito proveniente dall’attività lavorativa, però, è sufficiente a eliminare il rischio di povertà per il lavoratore e la sua famiglia. Il reddito individuale percepito dal lavoro può essere insufficiente a causa del basso valore della retribuzione o perché il lavoratore ha avuto una ridotta intensità lavorativa nel corso dell’anno. Tuttavia, il rischio di povertà per i lavoratori è legato anche alla composizione della famiglia e al numero di percettori di reddito al suo interno.
I lavoratori a basso reddito
Nel 2023, i lavoratori a basso reddito[2] sono pari al 21% del totale (pressocché lo stesso valore registrato nel 2023). Il rischio di essere un lavoratore a basso reddito cresce per le donne rispetto agli uomini (26,6% contro 16,8%), per gli occupati appartenenti alle classi di età più giovani (29,5% per i lavoratori con meno di 35 anni contro un valore pari al 17,7% registrato per quelli nella classe 55-64), per gli stranieri rispetto agli italiani (35,2% contro 19,3%). Ha maggiore probabilità di essere a basso reddito il lavoratore con un basso livello di istruzione (dal 40,7% per gli occupati con istruzione primaria al 12,3% per quelli con istruzione terziaria). Risulta inoltre a basso reddito il 17,1% dei lavoratori dipendenti, il 28,9% degli autonomi e il 46,6% di chi ha un contratto a termine, rispetto all’11,6% di chi ha un contratto a tempo indeterminato.
Il rischio di basso reddito è ovviamente correlato all’intensità lavorativa: l’incidenza del lavoro a basso reddito è pari all’88,8% per quei lavoratori che hanno lavorato meno di 4 mesi nel corso dell’anno, arriva al 56,3% per quelli che hanno lavorato tra i 4 e i 9 mesi e scende fino al 13,6% per quelli che hanno lavorato più di 9 mesi.
Figura 1 – Rischio di lavoro a basso reddito per caratteristiche individuali e familiari (a) – Anno 2023 per 100 occupati con le stesse caratteristiche
[1] Si tratta degli individui che si trovano in almeno una delle seguenti tre condizioni: a rischio di povertà, in grave deprivazione materiale e sociale o a bassa intensità di lavoro (Vedi Glossario).
[2] I lavoratori che hanno lavorato almeno un mese nell’anno e hanno percepito un reddito netto da lavoro inferiore al 60% del valore mediano della distribuzione individuale del reddito netto da lavoro relativa al 2023 (vedi glossario).
A marzo 2025 Censis/Confcooperative hanno pubblicato uno studio sull’adozione dell’intelligenza artificiale (IA) nei vari Paesi del mondo partendo dalle informazioni messe a disposizione dal Government AI Readiness Index 2024. L’Italia si colloca al 25° posto per l’utilizzo dell’IA, al di sotto anche di Francia, Regno Unito, Paesi Bassi e Germania. Analizzando settori di attività, si osserva che quelli che ne fanno maggiormente utilizzo sono Informazione e comunicazione (Italia: 34,6% Vs. UE27: 48,7%) e Attività professionali (Italia: 19,6% Vs. UE27: 30,5%). In Italia per il Commercio e la Manifattura si registra una propensione all’adozione dell’IA inferiore alla media europea, seppur registrando un utilizzo percentuale rispettivamente dell’8,2 (UE27: 12,1%) e dell’8,0 (UE27: 10,6%). Tassi di diffusione dell’IA inferiori si registrano per gli altri settori: attività amministrative e di supporto 7,7%; attività immobiliari 6,2%; trasporto e stoccaggio 5,2%, attività di alloggio e ristorazione2,7%; altre attività 8,2%.
Analizzando le scelte delle imprese in base alla dimensione aziendale (Figura 4) si osserva che anche in questo ambito le imprese con oltre 250 dipendenti hanno una maggiore propensione agli investimenti in IA: il 60,5% delle grandi imprese ha dichiarato infatti che investirà nel biennio 2025-2026 sulle tecnologie IA (nel 2021 erano il 27,7%). A seguire, le imprese con meno di 250 occupati con il 40,1% (nel 2021 erano il 12,9%); il 30,9% delle imprese con meno di 100 dipendenti dichiarano di essere disposte a investire sulle tecnologie IA (nel 2021 erano il 10,3%) e, infine, le imprese con meno di 50 dipendenti disposte agli investimenti rappresentano il 16,9% (nel 2021 erano il 3,4%). Il dato interessante è l’aumento in percentuale, che appare addirittura triplicato in alcuni casi, delle aziende che hanno investito nel triennio 2021-2024, segno evidente di un interesse sempre più crescente e reale all’implementazione dell’IA nelle strategie aziendali.
Investimenti materiali e immateriali nel biennio 2025-2026 sulle tecnologie IA per dimensione aziendale (valore %)
Economia e futuro
Secondo la stima McKinsey, nel 2030 il 27% delle ore lavorate sarà automatizzato e i comparti maggiormente coinvolti saranno: servizi di ristorazione (37%), supporto d’ufficio (36%), lavoro di produzione (36%), installazione e riparazione meccanica (33%), costruttori (30%), e agricoltura (30%). La percentuale elevata registrata nel settore agricolo appare correlata alla crescente diffusione nel settore delle tecniche produttive che fanno ricorso ai dispositivi informatici di monitoraggio di mezzi ed attrezzature e di colture e terreni.
Secondo McKinsey, quindi, nel 2030 ci sarà una ristrutturazione del mercato del lavoro a partire dalla richiesta di profili specializzati nell’utilizzo di IA. Questo comporterà una ulteriore polarizzazione del mondo del lavoro con, da un lato, una richiesta maggiore di mansioni specializzate con salari più elevati e, dall’altro, mansioni basilari con salari sempre più bassi. D’altro canto, diminuirà la richiesta di mansioni intermedie con salari medi e mansioni ordinarie con salari bassi. Questo dato si fa ancora più allarmante se si analizza la pubblicazione della Banca d’Italia secondo cui dei 22 milioni di lavoratori attivi nel 2022 in Italia, circa 15 milioni ricadono nella fascia a medio-alta esposizione alla sostituzione/complementarità. A loro volta 9 milioni sono nella fascia esposta alla complementarità con l’IA e 6 milioni circa sono a rischio sostituzione. La tabella 3 offre un quadro completo delle prime dieci professioni in Italia altamente esposte alla complementarità o con alto rischio di sostituzione in Italia. Le mansioni correlate all’elaborazione di dati matematici e non sono quelle a rischio più elevato sia per la sostituzione che per la complementarità.
Prime 10 professioni esposte alla complementarità o a rischio sostituzione in Italia, 2023
Alcuni impatti della digitalizzazione sulla tradizionale visione del mondo del lavoro
All’implementazione del paradigma digitale si accompagnano profonde trasformazioni che mettono in discussione le tradizionali categorie analitiche finora adoperate e che riguardano nodi cruciali dei modelli di relazioni industriali attualmente vigenti. Un primo ambito riguarda le trasformazioni che il nuovo paradigma digitale produrrà sulle categorie tradizionali dell’organizzazione del lavoro. Il mutamento di paradigma prospettato dalla digitalizzazione supera, infatti, le logiche verticistiche del comando e del controllo richiedendo al prestatore di lavoro la capacità di lavorare con autonomia all’interno di cicli, e dunque per progetti e a risultato, con sempre minore rilevanza circa i modi, i tempi e persino i luoghi della prestazione di lavoro. Un secondo ambito riguarda i risvolti che la digitalizzazione avrà su alcune tradizionali aree professionali aziendali. Le tecnologie flessibili che caratterizzano il digitale rendono possibile la quasi totale personalizzazione dei prodotti. Un terzo ambito di cambiamento riguarda la tradizionale strumentazione utilizzata nella contrattazione. La flessibilità su cui si fonda il paradigma digitale consente una drastica velocizzazione delle tempistiche di produzione mediante il ricorso a macchinari polivalenti che possono essere impostati in numerose combinazioni. Un quarto ambito riguarda la conservazione di adeguate tutele per i lavoratori. Il paradigma digitale determina l’eliminazione della maggiore parte dei compiti meccanici e ripetitivi. Un ultimo ambito riguarda le trasformazioni che il paradigma digitale determina nella domanda di professionalità espressa dalle aziende e sulle politiche formative. L’innovazione continua e lo sviluppo in fabbrica di brevetti e di nuove tecniche produttive sono variabili essenziali per la competitività nell’era del digitale.
A gennaio 2025 l’Eurobarometro ha pubblicato i risultati di una indagine che ha analizzato l’opinione di 26.349 cittadini europei riguardo l’agricoltura, le aree rurali e la Politica Agricola Comune (PAC). Nonostante la PAC sia un pilastro fondamentale dell’UE (52% reputa l’agricoltura e le aree rurali molto importanti), solo il 13% dei cittadini afferma di conoscerne i dettagli (+4% rispetto al 2022). La maggior parte degli intervistati (65%) ha sentito parlare della PAC senza però conoscerne approfonditamente i contenuti, mentre il 22% non ne ha mai sentito parlare.
Europea e Italia: Agricoltura e PAC
Opinioni dei cittadini dell’UE27 e dell’Italia sui principali obiettivi PAC dell’Unione Europea:
Garantire un tenore di vita equo per gli agricoltori è considerato un obiettivo prioritario della PAC per il 49% dei cittadini europei intervistati, mentre in Italia viene indicato dal 42%;
Creare crescita e posti di lavoro nelle aree rurali rappresenta un obiettivo prioritario della PAC per il 40% degli europei mentre in Italia viene indicato dal 44%;
Garantire prezzi alimentari ragionevoli per i consumatori è considerato un obiettivo prioritario della PAC dal 52% degli europei mentre in Italia viene indicato dal 47%;
Garantire un approvvigionamento stabile di cibo rappresenta un obiettivo prioritario della PAC per il 43% degli europei mentre in Italia viene indicato dal 35%;
“Garantire una produzione alimentare sostenibile” è considerato un obiettivo prioritario della PAC dal 42% degli europei, la stessa percentuale riguarda gli italiani;
“Proteggere l’ambiente e affrontare il cambiamento climatico” è considerato un obiettivo prioritario della PAC dal 41% degli europei mentre in Italia viene indicato dal 44%;
sia in Italia (47%) sia nell’UE27 (52%) la principale priorità di azione della PAC appare correlata all’obiettivo mantenere prezzi alimentari ragionevoli per i consumatori.
Europea e Italia: PAC e supporto finanziario
Per quanto riguarda la percezione che la Comunità europea ha sul supporto fornito agli agricoltori per contribuire a stabilizzare i loro redditi, è quella che si tratti un supporto “giusto” (EU27 56%, Italia 62%). Solo una piccola parte lo reputa “troppo basso” (EU27 27%, Italia 26%) mentre per il restante 9% degli europei viene ritenuto “troppo alto” (Italia 5%).
Conclusioni alla luce della Comunicazione “A Vision For Agriculture and Food”
I risultati dell’inchiesta EUROBAROMETRO presentati nelle pagine precedenti hanno permesso di evidenziare il giudizio ampiamente positivo che i cittadini europei formulano in merito al ruolo svolto delle politiche europee agroalimentari. Questo risultato emerge con evidenza considerando l’ampia quota di cittadini europei (70%) ed italiani (76%) che ritiene che la Politica Agricola Comune (PAC) offra benefici a tutta la collettività e non solo agli agricoltori. L’analisi di questi risultati può essere opportunamente ampliata considerando le prossime innovazioni che la nuova Commissione europea di Ursula von der Leyen intende apportare alle politiche europee dell’agroalimentare.
Nel 2023 sono state autorizzate all’esercizio agrituristico 26.129 aziende (il 2,3% del
totale delle aziende agricole in Italia).
L’attività preponderante riguarda l’alloggio, praticato dall’81% degli agriturismi, seguito dalla ristorazione che interessa 13.023 aziende (50% del totale). Le imprese agrituristiche con attività di degustazione sono invece 6.530 e rappresentano il 25% del totale. L’offerta di altre attività ricreative, sportive, culturali ha interessato la metà delle aziende agrituristiche (50%).
Aziende agrituristiche in Italia per tipo di attività, 2023
Il quadro regionale del numero di aziende complessive (anni 2022 e 2023)
Oltre un quinto delle attività si concentra in Toscana mentre il 14,9% delle aziende agrituristiche sono localizzate in Trentino-Alto Adige. Una presenza rilevante di attività agrituristiche si rileva anche in Lombardia, Veneto e Piemonte dove si concentra rispettivamente il 6,7%, il 6,3% e il 5,5% delle aziende. Tra le regioni del Mezzogiorno la maggiore presenza di agriturismi si evidenzia invece in Sicilia e in Puglia dove è localizzato rispettivamente il 3,7% e il 3,6% del totale delle aziende nazionali.
L’offerta agrituristica per Regioni e Province Autonome. Anni 2022 e 2023
Il valore medio della produzione per agriturismo (valore economico/numero di aziende agrituristiche) nel 2023 supera i 71.600 euro (era poco più di 62.700 lo scorso anno) e sale a circa 84.000 euro nel Nord, nel Centro è di poco meno di 71.300 euro e nel Mezzogiorno si aggira intono a 45.000 euro.
Valore economico delle attività agrituristiche per ripartizione geografica – 2023
Conclusioni
La diffusione dell’agriturismo rappresenta quindi una interessante opportunità per la valorizzazione del lavoro agricolo perché permette di promuovere alcune competenze distintive nel campo della accoglienza che caratterizzano storicamente gli operatori del settore agricolo. D’altro canto, per l’organizzazione sindacale in merito al tema delle attività agrituristiche si evidenziano – a nostro avviso – due ambiti prioritari di attività: interventi formativi e l’opportunità di fornire una linea guida nazionale.
Il 22 gennaio 2025 l’Istat ha pubblicato la stima preliminare dell’andamento economico del settore agricolo per il 2024 e rileva un incremento dell’1,4% dei volumi dei beni prodotti dal settore agricolo a cui si accompagna una crescita dello 0,8% dei relativi prezzi di vendita.
La produzione in valore aumenta complessivamente del 2,2%, attestandosi sui 74,6 miliardi di euro.
Sul piano occupazionale si rileva una ulteriore contrazione delle unità di lavoro occupate in agricoltura (-2,6%) a causa della marcata flessione (-4,4%) dei lavoratori indipendenti non compensata dalla debole crescita rilevata per quelli dipendenti (+0,9%). Nel 2024 si registra, infine, una crescita dell’11,3% del reddito dei fattori che in termini di indicatore di reddito agricolo si traduce in un incremento del 12,5%.
Numeri chiave dell’agricoltura italiana (Valori in milioni di euro correnti, variazioni percentuali di volume, prezzo e valore) – Anno 2024
Sul piano merceologico il 2024 si caratterizza come un’annata positiva per il complesso delle coltivazioni che crescono di +1,5% in volume. In particolare, si rilevano aumenti in volume per patate (+13,0%), frutta fresca (+11,5%), ortaggi freschi (+3,8%) e vino (+3,5%). Flessioni importanti caratterizzano, invece, cereali (-7,1%) e olio d’oliva (-5,0%) mentre più modesto appare il calo degli agrumi (-2,5%). In termini di prezzi i prodotti delle coltivazioni evidenziano un incremento medio del 2,9%. Consistenti incrementi dei prezzi si registrano, in particolare, per patate (+17,1% nel periodo 2023-2024), olio d’oliva (+16,5%) e vino (12,6%), mentre le maggiori flessioni riguardano i prezzi di cereali 14,9%), di agrumi (-7,5%) e delle colture industriali (-2,5%). Andamenti sostanzialmente stabili si registrano, invece per il settore zootecnico che nel 2024 evidenzia un lieve incremento della produzione in volume (+0,6% rispetto al 2023). In particolare, risultati positivi hanno interessato le carni bovine (+1,5% in volume) e, tra i prodotti zootecnici derivati, il latte (+1,1%) e le uova (+0,5%).
Infine, la flessione registrata nei prezzi del comparto (-2,2%) determina una riduzione del valore della produzione del comparto zootecnico dell’1,6%. Le attività secondarie non agricole registrano un incremento della produzione in volume del 5,2% (+2,6% in valore, in presenza di una riduzione dei prezzi del 2,5%). Crescono, in particolare, le attività di agriturismo e quella di produzione di energia rinnovabile. Viceversa, andamenti negativi caratterizzano attività dei servizi agricoli la cui produzione in volume subisce una flessione dell’1,5%, mentre quella in valore evidenzia un incremento dell’1,0%, in conseguenza di un aumento dei prezzi del 2,5%.
Considerando il settore agricolo europeo nel complesso, nel 2024, la produzione dell’UE27 mostra un incremento in volume dello 0,5%.
Produzione e valore aggiunto dell’agricoltura, principali stati membri UE27, anno 2024 (valori correnti in milioni di euro)
Infine, la flessione registrata nei prezzi del comparto (-2,2%) determina una riduzione del valore della produzione del comparto zootecnico dell’1,6%.
Crescono, in particolare, le attività di agriturismo e quella di produzione di energia rinnovabile.
Si registra una crescita dello 0,2% in volume e del 4,4% in valore del valore aggiunto agricolo dell’UE27 che passa da 223,7 miliardi di euro del 2023 a 233,6 miliardi nel 2024.