Premessa

Il contesto del più recente periodo, evidenzia la drammatica diffusione del fenomeno criminale dello sfruttamento dei lavoratori in condizioni di bisogno e di necessità, il cosiddetto “caporalato”, favorito non solo dalla crisi economica, ma anche dal sempre più crescente numero di immigranti in fuga da fame, carestie, persecuzioni e guerre.

Si creano così le condizioni affinché imprenditori senza scrupoli possano realizzare cospicui proventi illeciti che alimentano un importante giro di affari.

Il caporalato è fortemente diffuso su tutto il territorio nazionale: oltre alle regioni del Sud d’Italia (Basilicata, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia), è forte l’esplosione del fenomeno al Centro Nord, in particolare in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Veneto e Lazio e non è difficile immaginare che sia proprio l’agricoltura l’enorme serbatoio di riferimento per i caporali.

La rilevanza del fenomeno è dovuta al carattere stagionale dell’attività agricola e al forte ricorso al lavoro a giornata; fattori che non hanno trovato nelle misure di regolarizzazione degli stranieri o di regolamentazione del lavoro atipico, strumenti di contrasto sufficienti a ridurre l’impiego di mano d’opera non regolare.

Pertanto, al fine di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso ed irregolare, accanto all’intensificazione dei controlli e all’inasprimento dell’apparato sanzionatorio per i casi di sfruttamento, risulta fondamentale favorire un percorso d’emersione della legalità anche attraverso un sistema di promozione delle imprese virtuose e maggiori misure di supporto dei lavoratori.

 

Cenni sul caporalato e la sua evoluzione

Il termine “caporalato” è riferito ad un antichissimo sistema di organizzazione del lavoro agricolo temporaneo, svolto da braccianti inseriti in gruppi di lavoro di dimensione variabile.

Il caporale ha il compito di reperire la manodopera adatta, di condurla sul fondo e di dirigerla durante l’attività lavorativa: agisce di fatto come un vero e proprio mediatore di manodopera che, in alcuni casi, si fa anche carico di governarne l’attività, secondo le richieste dell’imprenditore agricolo.

Attualmente, anche per effetto della crisi economica e del crollo dei prezzi agricoli, il fenomeno del caporalato è progressivamente degenerato, trasformandosi in una attività volta all’elusione della disciplina sul lavoro, con sfruttamento a basso costo di manodopera che viene fatta lavorare abusivamente e illegalmente senza rispettare le tariffe contrattuali sui minimi salariali e senza versamento dei contributi previdenziali.

Lo sfruttamento della manodopera avviene oggi attraverso sistemi ben diversi dal passato. I lavoratori vengono ingaggiati da persone fisiche ( per conto di imprese senza scrupoli ) che svolgono attività di intermediazione illecita di manodopera, assicurando alle imprese utilizzatrici pacchetti di lavoratori sottopagati e sfruttati, per i quali gli intermediari provvedono anche al trasporto e alla sistemazione logistica ricavandone, a loro volta, beneficio economico.

Le norme di contrasto al caporalato

Il quadro sanzionatorio si articola su tre differenti livelli di gravità:

  1. la riduzione in schiavitù (e reati correlati)
  2. intermediazione di manodopera (603bis c.p.)
  3. grave sfruttamento di cui art.22 comma 12quater, d.lgs n.286/1998

Contro lo sfruttamento dei lavoratori e il fenomeno del caporalato, la FLAI CGIL e la CGIL hanno raggiunto un primo importante risultato nel 2011 con il riconoscimento di reato penale del caporalato e dell’intermediazione illecita di manodopera (art. 603 bis del Codice Penale).

Ma il più straordinario risultato è rappresentato dalla Legge n. 199/2016 che riscrive l’art. 603 bis del c.p. in una logica di armonizzazione organica delle diverse norme in materia, e rafforza l’opera di contrasto contro il fenomeno del caporalato.

 

I tre punti fondamentali della legge 199/2016

La norma parte dall’attenzione al versante dell’illecita accumulazione di ricchezza da parte di chi sfrutta i lavoratori all’evidente fine di profitto, in violazione delle più elementari norme poste a presidio della sicurezza nei luoghi di lavoro, nonché dei diritti fondamentali della persona.

Ecco cosa cambia in tre punti con la nuova legge che servirà a combattere con strumenti efficaci ed adeguati il fenomeno del caporalato e lo sfruttamento del lavoro in agricoltura:

  1. punizione da 1 a 6 anni di reclusione e multa da 500 a 1.000 Euro (per ciascun lavoratore reclutato) per chiunque recluta manodopera allo scopro di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori o utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’intermediazione illecita: la legge modifica l’art. 603 bis del codice penale configurando il reato di intermediazione illecita di manodopera e sfruttamento del lavoro, non più soltanto per i caporali, ma anche per i datori di lavoro;
  2. introduzione dell’indice di sfruttamento: si determina una condizione di “sfruttamento” del lavoratore quando si verifica una o più delle seguenti condizioni: reiterata corresponsione della retribuzione in modo palesemente difforme da quanto previsto dai contratti di lavoro, reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, violazione delle norme in materia di sicurezza e igiene sui luoghi di lavoro, sottoposizione a condizioni alloggiative degradanti;
  3. confisca delle cose utilizzate per commettere il reato o dei beni nella disponibilità del colpevole: la legge introduce gli arti. 603 bis1 e 603 bis 2 del codice penale che dispongono un procedimento di confisca obbligatoria in caso di condanna. In alternativa al sequestro, qualora l’interruzione dell’attività possa comportare ripercussioni negative sui livelli occupazionali o compromettere il valore economico del complesso aziendale, viene disposto il controllo giudiziario dell’azienda.

Inoltre è stata modificata la legge della Rete del lavoro agricolo di qualità (l. n. 116/2014):

  • possono iscriversi alla Rete solo le aziende che applicano i Contratti Collettivi di Lavoro del settore;
  • possono aderire alla Rete attraverso apposite convenzioni i centri dell’impiego;
  • la Rete si articola a livello territoriale con sede presso le CISOA, alle quali vengono demandati compiti di formulare gli indici di coerenza del comportamento aziendale, garantire una modulazione a livello territoriale dei servizi all’impiego, promuovere forme di organizzazione del trasporto dei lavoratori fino al luogo di lavoro.

Dopo l’introduzione del reato di intermediazione illecita di manodopera, l’approvazione di strumenti di accertamento più efficaci come l’indice di sfruttamento e la previsione di pene detentive anche per i datori di lavoro che utilizzano i caporali, rappresenta un completamento importante del quadro legislativo che tutela di diritti dei lavori ed intende combattere ogni forma di sfruttamento. In tal senso, anche le modifiche apportate alla disciplina della Rete del lavoro agricolo consentono, attraverso l’incrocio della domanda e dell’offerta di lavoro in un luogo pubblico, di accendere un faro di legalità e trasparenza sul contesto di disperazione e sfruttamento che genera il lavoro nero.